di Désirée Boco

Mi chiamo Désirée.

Oggi ho dei problemi dovuti ad una PCI (paralisi celebrale infantile) e alla disprassia, ma non mi chiamo né disabile né disprassica  ma semplicemente Désirée. Sono stata diagnosticata disprassica tardi a 16 anni. Per me è difficile vestirmi e ricordarmi le cose. Leggere mi stanca molto.

Nel mio caso la disprassia porta ad associare fatti o cose con persone, immagini o esperienze vissute. Uso questo metodo, il metodo associativo, per ricordarmi qualsiasi faccenda.

Desidero parlare del teatro e della musica che mi hanno aiutato tanto.

Il teatro, ti aiuta a mettere su una maschera e ad essere irriconoscibile. Aiuta a nascondere e dominare le proprie emozioni, ad essere freddi come il clima del mio secondo paese, la Svezia.

La musica è sempre esistita in casa mia da quando ero piccola: mi capitava di ascoltare una compilation con Loredana Bertè, Lucio Battisti e Lucio Dalla per poi passare a Fabrizio De André; diventando grande, ho capito di essere stata circondata da della bella musica, anche se corposa ed incomprensibile per me bambina.

La musica crescendo, mi ha aiutato molto.

Stranamente, nel mio caso la disprassia, porta a non sentire bene il ritmo… perciò sono molto selettiva nella musica che ascolto.

 La musica, può aiutare ad imparare le lingue: così, ho imparato il francese ascoltando Riccardo Cocciante.

Tutto iniziò con un semplice dizionario on line, il testo di Margherita, un foglio a righe e una matita.

Per apprendere le lingue ad esempio, associo la parola all’ oggetto, oppure ripeto quello che sento; anche frasi intere. Consiglio in questo caso di andare a consultare un dizionario prima di finire della trappola dei falsi amici.

Alcuni disprassici tendono ad avere un linguaggio scarno. Esiste allora un modo per imparare nuovi termini? Certo, ascoltare… soprattutto la musica perché con i suoni la parola rimane più impressa.

 I nostri discorsi forse non sono molto lunghi, come i nostri temi, ma se ci sforziamo, riusciamo.

La disprassia non è una malattia.

È una semplice caratteristica che deve essere accettata da chiunque, anche se alcuni fanno fatica.

 Quando si è vittima di bullismo, la musica può rappresentare una salvezza, serve a trovare un qualche tipo di “specchio” per scaricare tutto il dolore che si prova e ci si sfoga…

 Il mio “specchio” l’ho trovato nell’ opera popolare Notre Dame de Paris di Cocciante.

 Prima di salutarvi, vorrei dirvi che anch’io ho dovuto imparare che: “L’uomo in gruppo è più cattivo e quando è solo ha più paura…”  Di sicuro io e l’interprete della canzone, Mia Martini, ci saremmo capite e soprattutto abbiamo imparato a non ferire con le parole, abbiamo invece imparato a dominarle.

 Questo significa che non riusciremo mai ad esercitare il bullismo, perché sappiamo troppo bene cosa si prova ad esserne vittima.